angelo iodice
LA MISURA DELLA DISTANZA
2020
L’Entaglement è un fenomeno prettamente quantistico.
Erwin Schroendinger nel 1926 fu il primo ad ipotizzare uno strano comportamento di inseparabilità: se due sistemi subiscono una interazione mutua temporanea e successivamente vengono allontanati, non possono essere più descritti separatamente come prima dell’interazione, ma avranno un’unica rappresentazione o funzione d’onda.
Entanglement ovvero la non separabilità di due sistemi che mostrano una mutua interazione “istantanea”, la quale prescinde dalla distanza delle particelle stesse.
Il concetto recuperato dalla fisica quantistica, vuole essere di importanza non solo teorica, ma fondamentale per aprire la via verso differenti riflessioni.
Noi viviamo e facciamo esperienza del mondo solo nel momento presente ed è solo con la memoria e con l’anticipazione (che sono tuttavia atti psicologici che avvengono nel momento presente) che ci spingiamo mentalmente al di là di quel che, momento per momento, facciamo.
Queste capacità di “viaggiare nel tempo” sono tipiche di noi esseri umani.
C’è sempre l’esortazione a concentrarci esclusivamente sul momento presente, perché le nostre vite si dispiegano solo nel presente: perché tormentarci per un passato che non esiste più e consumarci con l’ansia per un futuro che non esiste ancora, se solo il presente esiste?
Questo postulato alla luce del principio dell’Entanglement o non separabilità, permette di giungere alla conclusione in cui passato, presente e futuro esistono tutti allo stesso modo.
Si rappresenta il continuum spazio temporale tra passato e futuro, e di questo si vuole misurare la distanza.
Ho pensato che il modo per tracciare questa dimensione con le sue coordinate, è far dialogare dei Reperti archeologici (Courtesy Museo Civico di Barletta), come unici testimoni dello scorrere del tempo, protagonisti del passato, freddi e statici, eleganti e congelati, con pesci inanimati, in cui nella rappresentazione scenica simboleggiano il futuro, quello che “sarà” che abbracciati da una naturale rigor mortis, riescono a sollevare una dimensione vaga e misteriosa, portando ad “un mondo denso e intenso, che inquieta e confonde, per le tante turbolenze logiche ed emotive, pur rimanendo connessi al mondo reale perché legato alla vertigine dell’ umano”.
Lo scritto di Gabriele Perretta:
“Secondo Angelo Iodice la perdita del senso del luogo (genius loci fictionale) dipende dall’assenza di tre elementi fondamentali: la memoria, l’orientamento e l’identificazione analogica. Ciò che si conserva richiede sempre un atto di interpretazione, dunque apre verso il futuro. Il paesaggio è pensabile solo come sedimentazione di una memoria vivente e non oggettivata (nel qual caso si tratterebbe di un’operazione di storicizzazione), che racchiude in sé l’esigenza della memoria e dell’avvenire”.