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tiziana blanco

2020

Nel campo dell’arte in tanti hanno affrontato i temi dell’immobilismo del tempo, del senso di sospensione, di inquietudine, dell’attesa di un destino incombente e misterioso.
Un ininterrotto confronto tra personalità che accidentalmente hanno vissuto in epoche differenti ma che, attraverso la pittura, dialogano in un eterno presente. Ed è proprio nella serie ‘ossessiva’ delle piazze d’Italia di De Chirico che troviamo, meglio che altrove, quel senso di distacco dalla realtà, di smarrimento, che ci trasmette stati d’animo malinconici, onirici; esempi di alienazione e solitudine dell’uomo contemporaneo all’interno della civiltà, la metafisica appunto.
Fattori che avevano un non celato rimando all’eterno ritorno di Nietzsche, al ciclico processo di attimi che si ripropongono sotto forme diverse, ma con contenuto 

e finalità medesima (il serpente che si morde la coda, simbolo esoterico della ciclicità del tempo…)
Ergo, la Piazza del Duomo della città in cui vivo, Siracusa, deserta ma con un bambino (la nuova generazione, la speranza, il futuro) che gira ossessivamente da un punto all’altro della piazza, andata e ritorno, in bicicletta (la ruota, il cerchio, la ciclicità), l’eterno ritorno di cui sopra.
Rallentare, se pur forzatamente, i nostri ritmi fino a ieri troppo frenetici e spesso distruttivi ci ha portati a fermarci, riflettere su tante cose, e riappropriarci anche di noi stessi…
De Chirico proponeva interrogativi senza soluzione, abbandonandosi all’enigma con un atteggiamento distaccato; nelle sue tele metafisiche il tempo è imprecisabile, immobile, immaginario.
Dovremmo forse ripartire da lì?