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Mario Cresci
MINUMUN
L'ARTE, IO E MIA NIPOTE AL TEMPO DELLA PANDEMIA
2020

Questa immagine è tratta da una nuova serie che ha per titolo “Minimun” nata durante i giorni del corona virus quando stavamo tutti a casa e lo sguardo si posava sulle piccole cose che normalmente non vedevamo o davamo per scontate. Gli oggetti in particolare dentro al nostro spazio quotidiano hanno iniziato ad animarsi, a muoversi, ruotando su se stessi, oppure moltiplicandosi o specchiandosi con altri, oppure essere osservati nella loro forma e materia o nei segni lasciati nei loro spostamenti sulle superfici di altri disposti negli spazi della casa.
Improvvisamente come in un cartone animato, gli oggetti si sono riuniti tra loro e hanno iniziato a dialogare come nuovi e minuscoli abitanti usciti allo scoperto finalmente in compagnia della famiglia dei libri da sempre privilegiati e presenti negli scaffali della libreria. Per contrastare e vivere il tempo della pandemia in modo tale da non cedere al dolore e alla paura della morte che ogni giorno qui a Bergamo aleggiava nei suoni delle campane delle chiese e in quelli più taglienti delle sirene delle autoambulanze, ho pensato ai miei piccoli nipoti che vivono in una città lontana come Matera e al modo di comunicare a distanza sul pc per trascorrere un poco di tempo con loro nel ruolo di nonno creativo ancora in grado di stimolare i loro pensieri e i loro sguardi racchiusi giocoforza negli spazi ristretti della loro abitazione.

Ho pensato anche a un libro che avevo iniziato a leggere con grande interesse scritto nel 2016 da Agata Boetti – la figlia di Alighiero Boetti – dal titolo: Il gioco dell’arte, con mio padre Alighiero. Nel risvolto della sovracoperta della copertina, Agata riporta una frase del padre: le cose nascono dalla necessità e dal caso.
Illuminante per me in quel momento quando mia nipote Gloria di 11 anni, la più grande dei tre, mi mandò sul cellulare un disegno che lei aveva fatto con un’app particolare che lei stava usando da alcuni giorni e che forse non avrebbe mai pensato di fare sui banchi della scuola. Era per lei una libera scelta fuori dagli obblighi scolastici e nello stesso tempo un modo per sentirsi autonoma con la fantasia all’interno della sua stanza in un momento di particolare restrizione verso la quale lei reagiva immergendosi nel pensiero creativo come reazione alle difficoltà che tutti noi stavamo vivendo in quei giorni a causa del virus.
Le dissi che anch’io stavo immaginando storie, mondi e oggetti che si muovevano e si raccontavano come delle piccole creature che avevano preso vita uscendo dal loro anonimato e dall’ isolamento dei giorni normali, le ricordai inoltre anche una frase di Boetti sempre tratta dal libro di Agata che scrive: “l’artista è colui che è capace di mettere al mondo il mondo” e considerando il fatto che la pandemia era una sorta di diluvio universale che aveva messo tutti noi sulla stessa grande barca del dolore e dell’incertezza, forse il pensiero creativo che appartiene da sempre al genere umano e non solo agli artisti, poteva diventare un graduale antidoto collettivo che a macchia d’olio si sarebbe esteso su tutto il pianeta senza nessun 

confine e nessun limite di appartenenza a culture o a etnie diverse, fuori da ogni speculazione economica e politica, ma dentro alla ricerca di senso dell’arte e della nostra creatività. Le dissi che anch’io stavo immaginando storie, mondi e oggetti che si muovevano e si raccontavano come delle piccole creature che avevano preso vita uscendo dal loro anonimato e dall’ isolamento dei giorni normali, le ricordai inoltre anche una frase di Boetti sempre tratta dal libro di Agata che scrive: “l’artista è colui che è capace di mettere al mondo il mondo” e considerando il fatto che la pandemia era una sorta di diluvio universale che aveva messo tutti noi sulla stessa grande barca del dolore e dell’incertezza, forse il pensiero creativo che appartiene da sempre al genere umano e non solo agli artisti, poteva diventare un graduale antidoto collettivo che a macchia d’olio si sarebbe esteso su tutto il pianeta senza nessun confine e nessun limite di appartenenza a culture o a etnie diverse, fuori da ogni speculazione economica e politica, ma dentro alla ricerca di senso dell’arte e della nostra creatività.

Con questo pensiero cercai di spiegare a Gloria che i suoi disegni erano per me altrettanto importanti dei piccoli video che stavo realizzando e che in senso ludico li stavo definendo come “videogiochi” in omaggio all’immaginazione di tutti i bambini del mondoe che essa li avrebbe in gran parte difesi se avesse avuto la piena libertà di esprimersi.
Sul significato di libertà creativa nata da una costrizione collettiva mi ricordai di un breve passaggio del libro che mi sembra ora ancor più emblematico in questa seconda fase di verifica del contagio in cui il nostro rapporto con l’arte potrà assumere nuove dimensioni sociali, esperienze e nuove conoscenze soprattutto nel mondo della scuola e nella formazione dei giovani, Agata scrive: “proposi a mio padre: “E se fotocopiassimo la pioggia?”. L’idea gli piacque subito. Si ricordò che ci aveva già pensato senza poi realizzarlo. Era così fiero di me per aver avuto la stessa idea! Siccome cominciava a piovere, spostammo con fatica la fotocopiatrice fuori casa. Dopo vari tentativi e aggiustamenti del cursore dei contrasti, il miracolo avvenne.
Un foglio uscì con la pioggia stampata. Le gocce erano magnifiche così come la loro disposizione. Eravamo meravigliati, quasi commossi. “Siamo i primi al mondo ad aver fotocopiato la pioggia!” esclamò”.
Dissi a Gloria che il mio desiderio era simile a quello della pioggia in fotocopia perché voleva dire che dopo la cruda realtà del virus, usciti all’aperto abbiamo imparato a valorizzare al meglio la nostra creatività e il nostro desiderio di continuare a immaginare il mondo come, pensava Charles Pierce, simile a un grande “Foglio mondo” che appartiene a noi stessi ma anche condivisibile con le altre persone insieme al ricordo, (l’arte ha molto a che fare con la storia e la memoria) di coloro che per salvare le nostre vite hanno perso la loro e di quelli che se ne sono andati in solitudine senza vedere più nessun volto dei loro cari. Anche questo dramma, ho spiegato a mia nipote, è parte fondante dell’arte che d’ora in avanti non potrà non tenerne conto.